biografia

  • Nata è a Torino? Sì, nel quarantuno
    Ma non lo deve sapere nessuno…
    E di che morte alfin perirà?
    La data ancora nessuno la sa.
     
    Crebbe bambina con tre precettori
    Privati: storici, poeti, autori,
    Ed una madre assai brava cantante,
    E violinista ed anche commediante…
    Questi ascendenti geniali ed illustri
    L’accompagnaron per più di tre lustri
    Finché incontrò, un bel giorno in collina,
    Un musicista già sulla trentina
    Che la convinse di botto a cantare
    E che la volle ben presto sposare.
    Così Margot, ch’era ancora fanciulla
    Lasciò i parenti, lasciò la sua culla,
    I suoi interessi, e perse la testa
    Per dedicarsi ai canti di protesta.
     
    Con Amodei e Michele Straniero
    Girò l’Europa e non le parve vero
    Di dare inizio alla bella avventura
    Dei Cantacronache, che con sicura
    Mano per primi seppero creare
    Musiche e testi da rappresentare,
    Coadiuvati da nomi importanti
    Come Calvino, Fortini e ancor tanti
    Che troppo lungo sarebbe elencare
    Quindi fermiamoci nel menzionare.
     
    E furon loro, negli anni sessanta,
    A incider dischi per Italia Canta
    Un’etichetta legata al Picì
    Ch’ebbe successo ma poi finì lì.
    Dopo pochissimo il gruppo si sciolse
    E Margot a tutti le spalle sue volse.
     
    Ben lo si sa che spesso le ciambelle
    Non riescon cotte e non riescono  belle;
    Così Margot per tentar la fortuna
    Lasciò il marito e si fiondò in laguna
    Con il bambino di appena tre anni…
    E fu colà che iniziò con Giovanni
    Un’avventura che appena nata
    A essere eterna era poi destinata.
     
    Scrisse canzoni e colonne sonore
    Partecipò  a più kermesse canore
    Tredici dischi incise da autrice
    Ma le mancava, per esser felice,
    Un picciol gruppo con cui lavorare
    E divertirsi a inventare e a giocare.
    E fu così che con far sbarazzino
    Di marionette fondò il Gran Teatrino
    Avendo sempre, e fedeli, al suo lato
    La Paola Pilla e la Lulù Beato.

    Con la Luisa e con la Roberta
    (e Valentina che a Roma in trasferta
    andò) e con Sara e con la Gloria
    (…se un buon servizio ci fa la memoria)
    Il Gran Teatrino di sposate e putte
    Onore fece a quel “COSI’ FAN TUTTE”…

    Poeti infine si fecero sotto
    Collaborando, come Andrea Zanzotto,
    E furon molti che i bei pupazzi
    Amaron (come  Renato Palazzi:
    Il grande critico che ama il Teatrino
    E recensisce ogni spettacolino
    Da quei lontani primi anni novanta
    Quando la strada da fare era tanta).
     
    Son stati e sono spettacoli densi
    Che in ogni ambiente ricevon consensi:
    Musiche tratte da assai rari dischi:
    Hindemith e Malipiero e Stravischi,
    Kurt Weill, Rameau, e anche Purcell e Berio,
    Kagel, Berlioz, Boccherini  e con serio
    Spirito i testi (che han messo alla prova
    La Stein, Calasso, Balzac, Casanova)
    Il Gran Teatrino seppe poi trovare
    per presentarli in occasioni rare,
    Con i costumi grandiosi che fatti
    Son da quel mago di Marco Baratti.
     
    Presto arrivarono anche le beghe
    Per  l’arroganza di ex amiche streghe
    Ma delle Femmine la grande Fede
    Che tutto sa e che tutto prevede
    Continuò poi di successo in successo
    Allori a mietere col suo complesso,
    Un po’ a Venezia, a Torino, a Milano,
    Dovunque sul territorio italiano,
    A Roma,  Padova, Trento, e Cremona
    Ed a Palermo, Bologna ed Ancona,
    Alla Fenice ed in molti locali
    Aperti alle performanze teatrali
    E ancor: spettacoli alla Giudecca:
    Venti e più pièces, senza mai far cilecca.
     
    Buttando quindi alle ortiche le seghe
    Già menzionate di alcune colleghe
    Con le fedeli sue Pilla e Beato
    Il Gran Teatrino si è poi cimentato
    In più di un’opera alla Fenice
    Con risultato davvero felice,
    E un corso tenne poi di messinscena
    Perfino in un Istituto di Pena…
    E ancor produsse dei cortometraggi
    (Senza peraltro trarne dei vantaggi).
    Ed or si appresta (se ben lo conosco)
    A fare un musical sul gran Don Bosco.
     
    Sempre e dovunque il Teatrino fu amato
    Tanto che infine poi venne ospitato
    Per qualche tempo in una Fondazione
    Che vanta fama e vanta tradizione…
    Ma che in un “amen”, con gran tracotanza
    Spedì le Femmine via dalla stanza
    In cui le recite dai veneziani
    Erano accolte con gran battimani.
    E fu così che la bella struttura
    Per fare posto a una brutta scultura
    Venne cacciata, senz’ombra  di scusa,
    E l’esperienza fu così conclusa.
     
    Questo per quanto riguarda il teatrino
    Ma se torniamo a Margot e al suo destino
    Dobbiam parlar di trecento canzoni
    Che stan seguendo le oscillazioni
    Della politica, come consiglia
    La tradizione della sua famiglia.
    Sono canzoni ironiche e tristi
    Che parlan spesso di poveri Cristi,
    E guardano con occhiali speciali
    Ciò che riportano tutti i giornali.
    Come all’inizio della sua avventura,
    Cantando sempre, senza aver paura,
    Margot racconta ingiustizie tremende
    E dell’attual società le vicende.
     
    In conclusione: Margot è ritornata
    A quella cronaca, che era cantata
    Da un gruppo che ormai si è sciolto da anni
    (Dura cagion di dolorosi affanni…).
    Ma l’avventura teatral non è morta:
    chiuso un portone, si apre una porta.
     
    Conoscer la sua biografia futura
    Sarebbe, è ovvio, un’impresa un po’ dura…
    Ma è così, fra teatro e canzoni,
    Scene, costumi, regie ed invenzioni
    Che questa vita assai piena va avanti
    Si spera ancora per tanti anni, e tanti.
     
    Che se poi invece dovesse finire
    Pria del previsto, dovendo morire,
    Si potrà dir che ha lasciato alle spalle
    Molte creazioni, e non solo farfalle.
    Basterà legger la sua biografia
    Su questo sito (per vasta che sia)
    Per farsi una vaga idea di Margot
    E delle cose che a tutti donò.
    E a questa lapide lei pensa spesso:
    “Fu troppo brava per aver successo”…

    La biografia è comunque un sigillo:
    O meglio ancora: un bel coccodrillo.
     
     
    Venezia, settembre 2015

    facebookDiari e carteggi Galante Garrone - 1890/1990
  • Intervista di Guido Michelone

    Il 1958 per la popular music italiana non è solo l’anno di Nel blu dipinto di blu (Volare) di Domenico Modugno; qualche mese dopo la performance a Sanremo del cantautore siculo-pugliese, debutta a Torino il gruppo Cantacronache: un esordio in sordina, che i media ufficiali misconoscono; in circa un decennio di intensissima attività, infatti, l’ensemble piemontese non otterrà nemmeno un passaggio radiofonico o televisivo sulle emittenti statali. Cantacronache, ‘naturalmente’, dà troppo fastidio all’establishment democristiano benché – o forse in ragione di – un crescente successo di un pubblico colto e impegnato che via via va espandendosi dalle università ai licei, dalle fabbriche alle piazze, senza contare i primi raduni alternativi come i due Folk Festival a Venaria Reale.
    Formato da musicisti e musicologi, scrittori e attori, Cantacronache è il primo (riuscito) tentativo in Italia di dar vita a una nuova canzone di militanza e di protesta, che negli Stati uniti, già dagli anni Trenta, può contare su Woody Guthrie e in seguito su Pete Seeger, gli Almanac Singers, fino a giovanissimi folksingers che transitano per il Greenwich Village (Bob Dylan, Joan Baez, Phil Ochs, eccetera). Cantacronache guarda, musicalmente parlando, anche ad altre significative esperienze: il coevo canautorato francese (Brel, Brassens, Montand, Ferré), il folk revival inglese di Ewan McColl, persino la gebrauchsmusik di Weill, Eisler, Dessau. Grazie a Cantacronache, nel 1961 debutta una giovanissima interprete: Margot, al secolo Margherita Galante Garrone.
    Fra i tanti meriti di Margot, quello ad esempio di cantare per prima, in Italia, ‘Le déserteur’ (‘Il disertore’), ballata scritta, a Parigi, dal jazzman, discografico e romanziere Boris Vian ai tempi della guerra di Indocina, in breve divenuta un inno pacifista universale, oltre il manifesto contro la presenza coloniale nell'Algeria che, in quegli anni, lotta strenuamente per la libertà. In Italia viene lanciata per la prima volta da Margot nel 1964, incisa nella lingua originale; poi ‘Le déserteur’, a lungo boicottata in Francia, rimbalza in America registrata dal trio Peter, Paul and Mary durante i moti di Berkeley, quindi arrivano quattro traduzioni italiane, a cura di Paolo Villaggio, Luigi Tenco, Giorgio Calabrese, e addirittura del poeta Giorgio Caproni. Ornella Vanoni l'inserisce nella scaletta del suo celebre tour nel 1971, ma la prima incisione in lingua italiana viene curata da Ivano Fossati solo nel 1992.
    Margot tiene molto alle proprie radici: è figlia di Carlo Galante Garrone, uno dei padri nobili della Repubblica Italiana: senatore della Sinistra Indipendente di Parri, ma soprattutto celebre antifascista, partigiano, nonché fra i fondatori del Partito d’Azione.
    Margot, unica donna del gruppo, dalle raffinate qualità canore, grazie alla voce cristallina, da allora a oggi attraversa cinque decenni di cultura italiana – come lei stessa spiega – fra canzone, teatro, regia, utopie politiche.

    • Buongiorno, Margot. Sai, è difficilissimo reperire notizie biografiche o riguardanti la tua attività musicale. Parlaci allora della tua carriera artistica da quando partecipasti all’esperienza del gruppo Cantacronache, che aveva debuttato esattamente mezzo secolo fa, non a caso proprio il 1° Maggio 1958.

      Io entrai nel gruppo nel 1960, unica voce "femminile". Avevo 19 anni. Suonavo la chitarra da qualche anno, e avevo imparato a memoria tutto il repertorio di George Brassens, che eseguivo, grazie anche a un'ottima conoscenza del francese, nei "salotti" torinesi: la parola ‘salotto’ non rende giustizia alle case ospitali degli amici di mio padre, che si divertivano, dopo cena, ad ascoltare questa ragazza canterina e un po' strafottente. Fu a casa di Emilio Jona, fondatore, insieme a Liberovici, Straniero, Calvino e Amodei, del gruppo Cantacronache, che "li" conobbi. Mi sentirono cantare, io sentii cantare loro, e subito imparai tutte le loro canzoni. Mi proposero subito di entrare a far parte del gruppo, e non mi feci pregare. Così incominciò la mia avventura. Erano gli anni di Tambroni, e la protesta nasceva spontanea e aggressiva, anche nelle canzoni.

    • Ti sei mai sentita come la Joan Baez italiana?

      Forse qualcuno mi considerava tale, io non ci ho mai pensato. Fui attaccata in modo violento e volgare dai fascisti di allora, con articoli e insulti che mi facevano sentire, comunque, l'eroina della nuova resistenza canora. Gli spettacoli si moltiplicavano, cantavamo nelle fabbriche, nelle piazze, nei teatri, all'estero per gli emigranti: dovunque ci sembrasse necessario e giusto accendere o condividere una scintilla di ribellione. Non mi era difficile: la polemica faceva (e fa tuttora) parte del mio carattere.

    • Sei quindi d’accordo che il Sessantotto in musica in Italia arriva ben dieci anni prima, nel 1958, col primo disco del gruppo Cantacronache?

      Assolutamente sì.

    • Dalle prime due antologie del Cantacronache dei Dischi Albatros (Vedette), che raccoglievano i 45 giri di un decennio, si trovano le tue interpretazioni di ‘Polesine’ (Fossati-Liberovici), ‘Valzer dell’incredulità’ (Jona-Liberovici), ‘La morte di Anita Garibaldi’ (Dursi-Liberovici), ‘Il trionfo dello zero’ (Margot-Rodari), ‘Girotondo di tutto il mondo’ (Rodari-Liberovici), incise tra il 1962 e il 1963. Che atmosfera c’era? Com’era il rapporto tra parolieri e compositori del Cantacronache? Di cosa si parlava? Che musica ascoltavate?

      In realtà non ci frequentavamo molto. Amodei faceva l'architetto, Jona l'avvocato, Calvino lo scrittore in giro per il mondo. Con Michele Straniero i rapporti furono più stretti. Oltretutto era l'unico, nel gruppo, ad avere una bellissima voce, pur non essendo musicista. Non si può fare, nel nostro caso, una netta distinzione fra parolieri e compositori. Facevamo tutti un po' di tutto: Calvino scriveva i testi e cantava , Amodei testi e musica, Jona solo testi, ma spesso cantava con noi, io scrivevo testi, li musicavo e musicavo anche testi di poeti quali Fortini e Apollinaire. Ascoltavamo (e collezionavamo) perlopiù canzoni francesi. Liberovici e Straniero si dedicavano molto anche alla cosiddetta "ricerca sul campo", e "raccolsero" molti canti popolari, che subito entrarono a far parte del nostro repertorio.

    • Nel quarto volume del Cantacronache intitolato ‘Canti di protesta del popolo italiano’ si trovano canzoni molto dure come ‘Stornelli d’esilio’, ‘La Badoglieide’, ‘Pietà l’è morta’. Cosa vi spingeva nel recuperare canti anarchici, socialisti, partigiani? Si avvertiva il pericolo del neofascismo o di un colpo di stato in quegli anni?

      Certamente - ho nominato Tambroni - l'atmosfera politica in quegli anni era pesante. ‘La Badoglieide’ la conoscevo già a sei anni, ‘Pietà l'è morta’, pure. Me le aveva insegnate papà, che le aveva imparate da Nuto Revelli (che ne era l'autore). Chiaro che a una bambina non si poteva far dire "coglioni" (‘O Badoglio, Pietro Badoglio, ingrassato dal fascio littorio, col tuo degno compagno Vittorio ci hai già rotto abbastanza i ‘cogliòn’): papà, prudentemente e "prudemente" aveva sostituito "coglioni" con "bottoni". Ma a diciannove anni feci il gran salto e recuperai l'originale.

    • In precedenza nel 1960 per la casa ‘Italia Canta’ avevi inciso ‘Gorizia’: uno scandalo! Lo ricorda anche Giovanna Marini, che la interpretò – cinque anni dopo - al Festival di Spoleto con le autorità militari in prima fila annichilite e infuriate! Ti ricordi?

      Beh, la canzone la imparai da Sergio Liberovici, che mi "impostò" un'esecuzione dura e senza fronzoli. Non conoscevo l'episodio della Marini a Spoleto. Ricordo solo che la mia omonima nonna non tollerava di sentirmela cantare. Aveva perso i due fratelli in guerra, e ancora (giustamente) non se ne faceva una ragione.

    • Nel luglio 1961 il compianto Michele L. Straniero raccoglie con te, Giorgio De Maria, Lionello Gennero, Gianna Germano Jona e Sergio Liberovici diversi canti di protesta nella Spagna franchista, subito riproposti nel disco ‘Canti della Nuova Resistenza Spagnuola”, in esecuzioni tue e di Straniero. Cosa significava allora occuparsi di queste nuove canzoni, e di quelle della guerra civile del ’36, che in Italia forse ricordavano solo i vecchi antifascisti che combatterono a fianco dei Repubblicani all’Alcazar?

      Per me, in particolare, quel viaggio avventuroso e pericoloso nella Spagna franchista fu un doveroso omaggio a mio padre e a tutto quello che mi aveva raccontato della guerra del 1936. Raccogliemmo moltissimo materiale scottante, che via via spedivamo in Italia, clandestinamente, da Madrid e da Barcellona. In quell'occasione feci anche moltissime foto delle parate militari franchiste (una guardia civil, una mattina, durante una celebrazione militare in chiesa, mi sequestrò un rullino, e ci eclissammo a una certa velocità...). Arrivai anche a cantare "Bella ciao" in un ristorante affollato di militari (mi sentivo molto "barricadera"). E anche lì, la fuga fu fulminea. Questo viaggio produsse, oltre al disco che tu hai citato, un libro pubblicato da Einaudi, sui canti della nuova resistenza spagnola. Fummo denunciati (tutti noi più Giulio Einaudi) per oltraggio a capo di stato estero e vilipendio della religione (una canzone era irriguardosa nei confronti di un certo Cristo de Limpias). Fu un processo che fece un certo scalpore a Torino, e non solo: ci difese l'avvocato Vassalli, e fummo tutti assolti.

    • Hai pure inciso, nel 1961, una delle prime ballate proto-femministe, come la splendida ‘Le nostre domande’, scritta assieme a Franco Fortini. Come vivevi da ragazza, all’interno di un gruppo sostanzialmente maschile come il Cantacronache? Eri già una fanciulla libera o emancipata?

      Ero assolutamente emancipata e ribelle. Quello che si definiva "un brutto carattere". Portavo i pantaloni in città. Nei primi anni Sessanta non era cosa consueta. Ma la cosa mi divertiva.

    • Hai cantato la canzone ‘Le déserteur’...

      Era - è - una canzone bellissima, che cantavo cercando di non commuovermi. Ma la terminavo sempre con le lacrime agli occhi.

    • E i primi brani da te composti quali erano?

      Il mio primo disco da compositrice (‘Canzoni di una coppia’) lo dedicai a George Brassens. La copertina riportava non solo la mia dedica, ma anche una presentazione di Italo Calvino.
      Fui pure ospite fissa, con le mie canzoni, della serie televisiva “Canzoniere Minimo” di Giorgio Gaber (una decina di puntate).

    • Negli anni tra il 1961 e il 1965 sembravi lanciatissima nell’ambito della canzone alternativa: poi hai lasciato, quasi di colpo, hai ceduto il posto ad altre folk-singers?

      Non so se ho ceduto il posto. Dal momento che tutti incominciavano a occuparsene, la canzone di protesta non mi interessava più. Era inflazionata, non c'era più la gioia di essere in qualche modo pionieri di un genere.

    • Ma come hai poi vissuto il Maggio 68? E in genere quegli anni ‘formidabili’?

      In sordina, controcorrente. Occupandomi molto più del "privato" che del pubblico, nel doppio senso del termine. Diciamo che il 68, per me, fu un periodo "formidabile" nel senso che coincise con la prima elementare di mio figlio Andrea. Ebbi modo, cioè, di scatenare la mia piccola protesta contro maestre retrograde e insulse, contro genitori acquiescenti e codardi. Non so se questo servì a mio figlio, o non lo fece sentire in qualche modo "la pecora nera" della classe.

    • C’è stato poi un ritorno di fiamma verso una rinnovata canzone d’autore alla fine degli anni Settanta con un trittico album per la Divergo: ‘Sul cammino dell’ineguaglianza’ (1975), ‘La follia’ (1977), ‘La Messa dei Villani nella Cattedrale degli Ingegneri’ (1979). Cosa ci puoi dire di quegli ‘esperimenti’ molto originali, molto ben accolti dalla critica?

      Mi piacque la sfida di cimentarmi con autori come Swift e Rousseau, e di musicarli. Il poco successo degli album (allora si chiamavano così) dipese dalla inesistente distribuzione. Quando eseguii (in teatri, e anche a Sanremo, al Festival della canzone d'autore) i brani che citi, furono in realtà accolti con vero entusiasmo dal pubblico. Sono particolarmente affezionala a “La Messa dei Villani”, una denuncia violenta (attualissima, ahimé) contro l’installazione delle centrali nucleari.

    • Nel 2002 è uscito il CD ‘Re Orso’, una registrazione del 1985 della fiaba in due atti su testo di Arrigo Boito, musica tua - firmata per esteso Margot Galante Garrone – e magistralmente interpretata da Luisa Ronchini. Regia di Ugo Gregoretti. Un tuo melodramma...

      Adesso arriviamo al dunque, cioè agli ultimi vent'anni della mia storia. Musicai il ‘Re Orso’ (splendido libretto di Arrigo Boito, del 1865), per la famosa Compagnia marionettistica Fratelli Lupi di Torino. Lo spettacolo venne rappresentato al Teatro Gianduja di Torino per tre mesi consecutivi, poi ripreso al Verdi di Pisa, quindi al Goldoni di Venezia, sempre con molto successo di pubblico e di critica. Luisa Ronchini interpretava la parte del truce sovrano. La sua voce meravigliosa si prestava benissimo a quel ruolo, e ci divertimmo moltissimo a incidere l'operina. Adesso, 2009, il CD è diventato un video. Ho terminato proprio qualche mese fa il montaggio...

    • Ma ti sei ancora occupata di musica in questi vent’anni?

      Negli ultimi tempi, oltre ad avere fondato un gruppo - La Fede delle Femmine, di dapontiana ispirazione - di teatro musicale per marionette, che ormai ha al suo attivo diciannove spettacoli, ho lavorato come regista d'opera alla Fenice e in altri teatri.

    • Dunque il teatro, la regia, oltre la musica?

      Fin da piccola ho avuto il ghiribizzo di "dirigere". Essendo la maggiore, non mi era troppo difficile organizzare piccoli spettacoli in casa con mia sorellina, come credo faccia la maggior parte dei bambini, ma con un pizzico in più, forse, di determinazione e di divertimento. Avevamo un piccolo teatro di marionette "tradizionali" (il diavolo, la fatina, eccetera), a cui attribuivamo ruoli tutt'altro che classici, ridipingendole, rivestendole, dando loro voci e canto, e facendone delle caricature "familiari". Tutto questo, quasi quotidianamente...

    • Ma di qui a Cantacronache, a Re Orso?

      Se devo dirla tutta, mi sentivo un po' "legata", un po' inibita nel farmi guidare, sia nell'emissione della voce che nei gesti e nei passi. Spesso contravvenivo ai suggerimenti, e recitavo o cantavo "a braccio". C'era qualcosa che ‘mi mancava’, e non capivo che cosa fosse. Imparai nel frattempo a suonare il violoncello, ma sempre c'era in me un'insoddisfazione di base, di cui non capivo l'origine. Musicando il ‘Re Orso’ per il teatro di marionette, ebbi una tardiva ma definitiva folgorazione: che cosa poteva esserci di più gratificante, di più divertente, che guidare, dirigere, far muovere a mio piacimento dei pupazzi inanimati?

    • Un ritorno alla prima infanzia?

      Non lo so. So solo che da quel momento la mia vita cambiò.

    • Se non erro, hai quindi fondato subito un gruppo...

      ... un gruppo di tre donne – come dicevo, La Fede delle Femmine - esperte in varie arti: una scenografa con lunga esperienza di cinema (Paola Pilla), una giornalista esperta di illuminotecnica (Margherita Beato), e la sottoscritta, che decise, da musicista, di occuparsi della colonna sonora degli spettacoli. Fu un passo importante: nel continuo scambio gomito a gomito delle nostre specifiche capacità, imparammo tutte a fare un po' di tutto, dalle elettriciste ai falegnami, dalle sarte alle coreografe; quello che i maligni definivano il mio "delirio di onnipotenza" fu raggiunto, sia pure in miniatura e a poco prezzo. Venne costruito un teatrino a casa mia, per prove e rappresentazioni "private" (due, tre spettatori per volta, oculatamente scelti). Da quel momento non smettemmo più: tutti spettacoli senza parola, basati solo sul ritmo musicale. Una sorta di balletto pantomima, con il quale debuttammo a Venezia nel 1987, al teatro La Fenice, girando poi in Italia per vari teatri e festival musicali. Del piccolo cenacolo “kleistiano” fecero parte via via altre ragazze, tutte molto giovani, e tutte entusiaste di cimentarsi in un’arte tanto particolare , da Maria Ida Biggi a Roberta Palmieri, da Valentina Fabris a Sara Mancuso, da Luisa Garlato a Gloria Naletto; e i bellissimi costumi delle marionette, da qualche anno sono opera del costumista teatrale Marco Baratti.

    • Il passo seguente è stata la regia d'opera...

      Perché non trasportare sul ‘grande’ palcoscenico lo spirito kleistiano che fino a quel momento ci aveva ispirato? Il Teatro La Fenice ci diede questa grande chance, e in effetti le opere che realizzammo “in toto” (regia, scene e costumi), provandole ‘prima’ nel nostro piccolo spazio casalingo, con maquettes assemblate in modo maniacale, furono un grande successo di pubblico e di critica. Meno entusiasti furono i cantanti, trattati un po' troppo da marionette, sia nei gesti, sia nei costumi. Un effetto straniante!

    • Di recente hai pure realizzato due film su tuo padre e tua zia, la scrittrice Virginia Galante Garrone...

      Sì, ‘20 Giugno’ e ‘L’isola che non c’è più’. Da qualche tempo mi sto dedicando alla regia e al montaggio video. Ho pure realizzato due film su musiche di Berio, Cage e Schoenberg. Penso, per l’ennesima volta, di aver trovato la mia “vera strada”…Che non comporta certo l’abbandono del teatro di marionette e del teatro d’opera….Tutto può coesistere: il video e le marionette possono benissimo “integrarsi” e interagire. In due spettacoli degli ultimi anni, in effetti, il “fondale” del teatrino consisteva in un video realizzato e montato proprio dalla compagnia La Fede delle Femmine.
      Ecco i titoli di alcuni fra i miei ultimi video (tutti musicali) :

      Sette Marie
      20 giugno
      L’isola che non c’è più
      A quiet place
      La Grande Bretèche
      Forza Papi!
      Un cielo nascosto
      Retrospect
      Ode to Napoleon Buonaparte

    Intervista di Guglielmo Perfetti

    • Ciao Margot, comincio con una domanda un po’ scontata ma necessaria. Come ha incontrato Cantacronache? Come le è capitato di iniziare a collaborare con loro? Già si dedicava alla musica in precedenza?

      Ho conosciuto il gruppo un po’ casualmente, quando già era stato creato da Sergio Liberovici e Michele Straniero. Forse in uno dei salotti torinesi che ogni tanto frequentavo, cantando canzoni francesi. Suonavo la chitarra dall’età di 14 anni, ed ero infinitamente “presa” dalla canzone francese di autore, e in particolar modo dalla canzone di Georges Brassens. A tal punto imparai da Brassens  l’”argot” francese, da rivogermi per un’indicazione stradale a un vigile parigino, chiamandolo “Monsierur le flic”. Fui la prima in Italia a cantare le canzoni di Brassens. Incisi un 45 giri  con quattro sue canzoni, per fortuna in lingua originale (non sopporto le traduzioni di Brassens).

    • Cantacronache era composto di personaggi a mio parere importantissimi. Oltre a lei c’erano Liberovici, Amodei, Straniero, Jona. Che ricordo ha di loro?
       

      Il ricordo?  All’inizio ci fu un po’ di soggezione. Liberovici suonava e componeva divinamente, Amodei era un mago (lo è tuttora) nel confezionare testi e musiche, Straniero aveva una voce bellissima e un carattere ironico e divertente. Io ero la ragazzina capitata là per caso, ma avevo la voce, la chitarra la suonavo discretamente, e subito mi “ assunsero” come voce femminile. Da allora i concerti con “loro” furono infiniti, in Italia e in Europa. E la soggezione si dileguò.

    • Lei ha interpretato la bellissima Canzone Triste scritta da Italo Calvino e Liberovici se non sbaglio. Ha dei ricordi particolari legati allo scrittore (Calvino)? E a Franco Fortini?

      Calvino era amico intimo di Sergio Liberovici, tanto che poi fu uno dei testimoni delle nostre nozze (gli altri furono Massimo Mila, Ferruccio Parri e Carlo Levi…). Fortini lo conobbi a Milano e gli chiesi subito di musicare la sua poesia “Le nostre domande”, che non so per quale ragione aveva inviato a Sanremo, ritirandola subito dopo per  come era stata musicata. Non lo frequentai per molto tempo. Solo qualche visita nella sua casa di Milano con Liberovici. Parlava quasi sempre lui, e noi lo ascoltavamo in religioso silenzio. Musicai altre sue poesie, senza però inciderle.

    • Attorno a Cantacronache giravano anche tanti altri personaggi, Mario Pogliotti, Dullio Del Prete, Pietro Buttarelli. Come nascevano queste collaborazioni? Potrebbe raccontarmi dei rapporti interni tra queste personalità?

      Non ricordo come nacquero queste collaborazioni. Probabilmente i ragazzi (allora ragazzi) si presentavano a casa nostra, facevano ascoltare le loro canzoni, e subito (dato che erano belle e “conformi” alle intenzioni dei Cantacronache) si procedeva a farle registrare dalla casa discografica ITALIA CANTA, legata da sempre alla produzione di sinistra. Pochi i concerti fatti insieme a loro, comunque.

    • Probabilmente è solo una mia impressione, ma trovo gli arrangiamenti di alcune vostre canzoni molto – mi passi il termine – moderni per il mercato di allora, tipo quello di Canzone di viaggio da lei interpretata, o Il giorno dell’eguaglianza cantata da Amodei. In queste canzoni ci sento un tocco di jazz quasi cinematografico, ad esempio. Da cosa eravate influenzati? Che cosa ascoltavate? La cultura popolare del tempo aveva un impatto su di voi? Eravate esposti a musica straniera?

      I VERI musicisti (Liberovici e Amodei) avevano un bagaglio culturale e musicale non indifferente. Liberovici in particolare  fu autore di musica per balletto, di opere, di brani sinfonici. La canzone fu, penso, una novità sia per lui che per Amodei, dettata dall ‘esigenza politica  (oltreché musicale) di scardinare gli stilemi correnti, la banalità imperante nel mondo della musica cosiddetta “leggera” e di buttarsi (ben prima dei “cantautori”) in un’avventura rivoluzionaria che avesse comunque una dignità e un’etichetta “culturale”. Liberovici era un appassionato di Weill, Amodei di Brassens. Io, più modestamente, solo (riduttivo questo “solo”) della musica francese. Fu Liberovici a farmi apprezzare Eisler, Weill e tutta la musica legata al teatro di Brecht. Di “americano” c’era ben poco. Niente jazz, per quanto io mi ricordi.

    • Nei testi poi, ci leggo sempre molta tolleranza e una grande compassione verso le vicende dei più sfortunati. Nel raccontarle, però, si scorge di continuo una grande ironia: un atteggiamento a mio parere libertario, raro per l’Italia dogmatica di allora. Parlando dei testi, qual erano le vostre ispirazioni?   
       

      Ho già risposto a questa domanda. Io mi indirizzai (e lo faccio tuttora) soprattutto ai poeti, musicandoli, e inventandomi poi testi “crepuscolari” che furono molto apprezzati da Calvino (e che uscirono in un LP con la sua presentazione). I nostri "riferimenti" letterari erano Lorca, Brecht, Borges, Pavese...ma l'elenco sarebbe troppo lungo. Chiaro che i più sfortunati (“Il povero Elia” di Amodei ad esempio) furono fatti emergere dal buio di un’indifferenza davvero penosa. Alcuni di noi, non legati al PCI di allora, erano dichiaratamente anarchici. Io lo sono tuttora.

    • Dando una personalissima interpretazione ai vostri testi, se si può parlare di atteggiamento politico, mi sembra che la vostra “linea” sia più vicina all’eredità di esperienze quali Giustizia e libertà Partito d’Azione che al dogmatismo di una parte della sinistra di quegli anni. E’ una interpretazione sbagliata?
       

      E' un'interpretazione "giusta". Io ero figlia di un partigiano di Giustizia e Libertà, quindi per me era naturale attingere a quell’esperienza che mi era stata inculcata fin dalla nascita. Liberovici era in qualche modo (ma anche criticamente) legato al PCI, se non altro perché firmava sull’Unità di allora, come vice di Massimo Mila, le recensioni musicali torinesi e non. Non era ammissibile non essere neanche lontanamente “di sinistra”. Teniamo presente che proprio in quegli anni  l’immondo Governo Tambroni fece le sue vittime (Amodei ne fece una canzone -  “Per i morti di Regio Emilia” -  che divenne subito il manifesto della rivolta).
       

    • I vostri dischi, però, uscirono per Italia Canta la quale era molto vicina al PCI. Che rapporto intrattenevate con il partito e con la politica in generale? I fatti di Ungheria del 1956 ebbe un effetto su di voi?

      o nel 56 ero al ginnasio. Ricordo che noi ragazzi, a scuola, fummo tutti sconvolti dai fatti di Ungheria e che non si parlava d’altro. Penso che anche i futuri Cantacronache, almeno a quanto ne seppi in seguito, lo furono. D’altra parte, come avrebbero potuto non esserlo? Sì, Italia Canta era chiaramente vicina al PCI. Il PCI di allora. Riunioni e discussioni continue. Un clima, comunque, molto "vivo" e critico.

    • Parlando della città, com’era la Torino di allora? Come le sembrava? E soprattutto, quanto ha influito quella città sul vostro lavoro?
       

      Torino era una città borghese in tutte le sue declinazioni. Perbenismo, luoghi comuni, città “triste”, per citare Calvino. Ma per fortuna c’erano, a latere, movimenti che ribollivano e covavano sotto le ceneri. Fu di quegli anni la nostra spedizione nella Spagna di Franco, per raccogliere canzoni e poesie della Nuova Resistenza Spagnola. E fu proprio a Torino (e dove, se no?), che, una volta pubblicato il libro (Einaudi) su questa spedizione, subimmo un processo per vilipendio alla religione e a Capo di Stato Estero. Fummo tutti assolti, comunque. Ricordo che in tribunale io venni ironicamente “attaccata” da un giudice, in quanto “donna e per di più giovane”, per aver riportato e tradotto una “copla” un po’ irriverente nei confronti del clero spagnolo.

    • La fine degli anni Cinquanta segna un periodo importantissimo per Torino e per l’Italia intera. Torino ne esce rivoluzionata da molti punti di vista. Tra tutti, una nuova classe operaia che spesso arrivava da fuori sale alla ribalta. Erano parti di questa nuova componente presenti alle vostre esibizioni? Chi era il vostro pubblico?

      Il nostro pubblico era formato da intellettuali e da operai. Da chi capiva magari i riferimenti letterari o musicali (a volte un po’ criptici) espressi nelle nostre canzoni, e da chi nelle nostre canzoni sentiva accendersi la ribellione al conformismo imperante dell’epoca. Non moltissimi i giovani. Cantavamo nelle piazze, nelle sezioni di partito. Solo più tardi ci dedicammo al teatro vero e proprio.

    • So che è una domanda un po’ strana e forse troppo personale ma, è stato difficile per lei, giovane donna, inserirsi/integrarsi in un ambiente prettamente maschile come quello musicale degli anni Cinquanta? Qual era l’atteggiamento di quell’ambiente nei suoi riguardi?
       

      Ero talmente entusiasta del mio “ruolo”, che se ci fu qualche remora maschile per la mia presenza, non me ne accorsi. Anzi, percepivo ammirazione e stima proprio in quanto donna e in quanto così giovane.

    • Quali canzoni ha scritto in quel periodo?

      Un’infinità. Iniziando, come dicevo, con il solo canto (le canzoni di Brassens) e cimentandomi poi con testi e musiche miei. Ho al mio attivo 13 LP, alcuni dei quali prodotti anche in seguito al mio distacco dal gruppo, e patrocinati da Virgilio Savona, per l’etichetta Zodiaco.

    • Quando si è allontanata da Cantacronache? Mi permetta di chiederle, cosa ha portato alla divisione del gruppo?

      Il gruppo, come gruppo, finì la sua avventura dopo solo tre anni dalla sua fondazione.  Ognuno di noi continuò, comunque, a comporre, a suonare, a scrivere musica. Fu l’avvento dei “cantautori”, appoggiati dalle grandi case discografiche, a penalizzare alquanto la carriera del “gruppo” in quanto tale. Liberovici si dedicò sempre di più al teatro e alla didattica. In quanto a me (e così rispondo alla Sua domanda numero 14…), mi trasferii a Venezia, dove tuttora abito, e dove diedi vita a una compagnia femminile di teatro musicale per marionette (Gran Teatrino LA FEDE DELLE FEMMINE). Attività che mi prese “in toto” per ben 27 anni, con spettacoli che comparvero nei più prestigiosi Festival musicali italiani, ma soprattutto con una presenza stabile al Teatro La Fenice di Venezia.
       

    • Come è proseguita la sua carriera?

      Mi dedicai in seguito alla regia del Teatro d’opera (non per marionette), realizzando, coadiuvata dalle colleghe del Gran teatrino, quattro regie per il Teatro La Fenice e per Operabarga, su musiche di Francesco Cavalli, Nino Rota e Francesco Pennisi, senza per questo abbandonare il Teatro di Figura.

    • Nel 2012 lei ha interpretato una canzone scritta da Gianni Milano (il suo memoriale La moneta sotto al sasso è un altro dei miei argomenti di ricerca), qual è il suo rapporto con l’autore?

      Non conosco Gianni Milano, se non attraverso i suoi scritti, che trovo sorprendentemente attuali e stimolanti. La sua “NO TAV” mi ispirò subito, non appena la lessi, la musica (e presso la casa editrice Nota di Udine la registrai in uno dei due CD che ultimamente hanno visto la luce).

    • Devo dire che seguo i suoi sforzi molto volentieri e trovo canzoni quali La Renzieide, Gli stornelli, Per cosa dovrei esser ricordata?, bellissime. Vedo che lei intrattiene un ottimo rapporto anche con Internet. Mi potrebbe parlare del suo rapporto con la tecnologia contemporanea?

      La tecnologia, per me, è semplicemente un mezzo veloce e comodo per rimanere in contatto col mondo, dato che vivo piuttosto isolata (per evitare di perdere il tempo prezioso che ancora mi resta in qualcosa che non sia creativo o “utile” alle future generazioni. A questo proposito, sto trascrivendo da anni – e la cosa mi porta via molto tempo – i carteggi e i diari di famiglia: una mole enorme di scritti interessantissimi).

    • Tra le varie canzoni da lei interpretate ce n’è una che preferisce? E tra quelle di Cantacronache in generale?

      La mia “preferita” è POLESINE (www.youtube.com/watch?v=7xxsLZHdvWw), meglio conosciuta come “Tera e aqua”, di Sergio Liberovici e Gigi Fossati.

    • Molto spesso le varie analisi su Cantacronache si soffermano sul repertorio diciamo politico, la mia ricerca invece vuole dar risalto all’altro lato, quello in cui vengono fuori dei ritratti del boom o di altre situazioni in maniera ironica, a volte surreale. Secondo lei, quali sono le peculiarità che rendono Cantacronache ancora attuale?

      Sono talmente attuali la “spinta” e le intenzioni di Cantacronache (il nome definisce l'intenzione), data la situazione politica in cui versano l’Italia e il mondo in generale, che ho deciso di “rifondare” il gruppo, con altri autori ed altri musicisti. E’ nato da poco, infatti, “IL NUOVO CANTACRONACHE” (per ora solo su facebook), che, penso, troverà i suoi spazi e i suoi adepti molto presto.

  • CURRICULUM del GRAN TEATRINO
    LA FEDE DELLE FEMMINE

     

    Il Gran Teatrino “La Fede delle Femmine” è un gruppo di ricerca teatrale fondato nel 1987, che ha operato in un settore raro della drammaturgia: il teatro di animazione, nella specifica limitazione al teatro musicale.

    Ha svolto attività che sono comparse nei cartelloni di rilevanti Enti, festival e centri di studi musicali:

    Teatro La Fenice, Venezia (1988, 1989, 1991, 1992, 1998, 2000, 2001, 2002, 2003, 2004)
    Associazione Musicale De Sono, Torino (1989, 1990, 1991, 1992,1995)
    Associazione Bologna Festival Grandi Interpreti, Bologna  (1989)
    Rassegna del Teatro Contemporaneo Regione Trentino, Trento (1990)
    Centro Studi Musicali Ferruccio Busoni, Empoli (1992)
    Autunno Musicale a Como, Como (1989)
    Istituto di Ricerche Musicali del DAMS, Univ. di Bologna (1989)
    Seminario (ora Dipartimento) di Anglo-Americano e Germanistica dell’Univ. di Venezia (1989)
    Programma internazionale Rossini musicista europeo (1993)
    Le Feste Musicali, Bologna (1993)
    Assessorato alla Cultura, Venezia (1996)
    Festival Musica ‘900, Trento (1993, 2001)
    Società Europea di Cultura, Venezia (1993)
    Associazione Asolo Musica, Asolo (1992 e 1993)
    Biennale Musica, Venezia  (1993 e 1995)
    Accademia Filarmonica Romana, Roma (1996)
    Museo Internazionale delle Marionette, Palermo (1996)
    Teatro Comunale di Casalmaggiore (2000)
    Teatrodue Festival, Parma (1996, 1997, 1999 e  2006)
    Festival ‘900, Palermo (1997)
    Fondazione Querini Stampalia, Venezia (1998 e 2000)
    Festivaletteratura di Mantova, Mantova (1999, 2001 e 2003)
    Ateneo Veneto, Venezia (2004)
    Teatro Stabile, Torino (2004)
    Festival Poesia, Parma (2006)
    Festival Terre d’acqua, Cella Dati (2007)
    Centro Culturale Candiani, Mestre (2008)
    Fondazione Cini, Venezia (2012, 2013, 2014)

    Ha realizzato spettacoli su musiche di Galuppi, Stravinsky, Berio, Kagel, Schoenberg, Thomson, Humperdinck, Mozart, Malipiero, Purcell, Britten, Rameau, Verdi, Pepusch, Weill, Hindemith, Kurtàg, Rota, Mahler, Saint-Saëns, Gluck, Boccherini, Berlioz, concepiti su copioni e adattamenti coreografici di diversa estrazione letteraria (Hawthorne, Casanova, Gertrude Stein, Hölderlin, Calasso, Zanzotto, Pound, Brecht, Balzac, Gozzano).

    Fra i titoli più significativi si segnalano: Questo è il vero Pulcinella, Hölderlin, The Scarlet Letter, Four Saints in three acts, Una favorita per favore, ovvero La carriera di un libertone, Ach! Schwesterlein!,  Edoardo ed Elisabetta ossia Viaggio al centro della terra nel paese dei Megamicri, Americana , Le Sette Canzoni, Kappa 446, Sankt-Schreber-Passion, Wood as wood as wood, Lindberghflug, La più brutta opera di Giuseppe Verdi, La Grande Bretèche, Lanternina cieca, Lo sguardo del sordo VI, Santa Cecila dei Macelli, L’amico delle crisalidi.

    Regie di teatro d’Opera (non per marionette)

    Nel 1995, per la Biennale Musica, Margot Galante Garrone ha curato la regia di un “No” di Ezra Pound, “Tristan”,  musicato da Francesco Pennisi (direzione Marcello Panni, Orchestra del Teatro Comunale di Bologna), e rappresentato al Teatro Goldoni di Venezia e  al Teatro Arena del Sole di Bologna.

    Per il ciclo “Civiltà musicale veneziana” (Teatro La Fenice di Venezia), la Compagnia nel 1998 ha curato regia, scene e costumi de “L’Orione” di Francesco Cavalli (direzione Andrea Marcon), rappresentato al Teatro Goldoni di Venezia.

    Per il Festival Opera Barga, nel 2002, la Compagnia ha curato regia scene e costumi dello spettacolo “Play it again, Nino!”, su musiche di scena di Nino Rota (direzione Maurizio Dini Ciacci), rappresentato al Teatro dei Differenti di Barga.

    Per il Teatro La Fenice, nel 2003, la Compagnia ha curato regia scene costumi dell’opera: “Il principe porcaro” di Nino Rota (direzione Manlio Benzi), e il cortometraggio “La scuola di guida” su testo di Mario Soldati e musica di Nino Rota, rappresentati al Palafenice e al teatro Goldoni di Venezia.