La fantasia infinita dentro un boccascena

di Piero Longo

PALERMO- “Si immilla di lanternine un po' brille” la fantasia che naviga infinita dentro il piccolo boccascena dove il Midsummer night's dream, shakespeariano, passando attraverso le filastrocche zanzottiane è diventato “bosco, albero, legno", per la ribalta di sughero del Museo Internazionale delle Marionette che lo accoglie fino a domani per il Festival del Novecento. “Wood, as wood, as wood” è un’allitterazione sorniona, un “Galateo in bosco” dedicato a Zanzotto dal Gran teatrino delle marionette - La Fede delle Femmine - diretto da Margot Galante Garrone, e ripropone con ironia affabulante e novecentesca la storia degli amanti di Atene, di Titania di Oberon e di Puck, inseguendo l’immaginaria rappresentazione boschereccia che il poeta italiano improvvisò con i suoi compagni di giovinezza quando incominciò a giocare con le parole avendo a modello Shakespeare... Ed è dello stesso Andrea Zanzotto la voce recitante che frappone “Pasque, Elogia e Vocativo” al flusso musicale dispiegato da Rameau a Britten a Purcell e insinua la sua “lanternina cieca" tra i mille personaggi senza tempo che appaiono e scompaiono magicamente nello spettacolo concreto e allucinante, dice Zanzotto, giocato dalle quattro donne sui fili simmetrici di una rete barocca e razionale tesa allo spettatore prigioniero di un sogno ad occhi aperti. Dal monocolo puntato in campo nero, s'apre la meraviglia in prospettive dove scompare ogni misura del reale: farfalle e folletti, fate e creature fantastiche, paesaggi e alcove dell'eros, musicalmente rompono i confini del sogno e della veglia, trascinano nel mondo colorato delle visioni oniriche, conducono gli eventi al lieto fine della commedia nota e aggiungono quell‘inquietante rapporto tra micro e macrocosmo che soltanto il teatro d’animazione può produrre. Gli esseri lillipuziani di stoffa e piume si imbattono nei giganti di carne, le marionette acquistano l'anima e gli umani si fanno simulacri giganteschi, creature d’incubo che straripano l'inconscio di voluttà e desideri dilatando lo spazio della fantasia e riducendolo al gioco della scena dove la contemplazione visionaria si fa gesto e danza, parola e suono, mistero e attesa, fascino, appunto, che ti prende e ti trasporta in ogni angolo del tempo, da Shakespeare a Zanzotto, appunto, da Purcell a Britten.
Le simmetrie speculari assommano precisione fantastica di allusioni e citazioni testuali, si richiamano a vicenda nei colori e nelle forme dei dipinti di Füssli che planano, galleggiano, si muovono alla variazione delle luci e ai ritmi incalzanti del tessuto musicale ordito da Andrea Liberovici mentre una infinita grazia muove ogni postura e ogni piega della gestualità delle marionette cui risponde quella delle attrici in scena nel rappprto spaesante della loro grandezza corporea che fagocita lo spazio e le trasforma in mostri di incredibile bellezza.
Cosi la metamorfosi asinina e l'amplesso cosmico, il volto gigantesco di Titania e le microscopiche proporzioni di Puck, acquistano un valore drammaturgico misurato dalle immense mani sanguinanti e dalla curiosità dei grandi occhi dei due cortigiani che spiano e partecipano, teatro nel teatro, all‘azione che innesca drolerie e dramma, giocosità e incubo, splendori solari e innevati boschi di solitudini.
In questo trionfo d'amore si legano Laocoonte che si dimena tra i serpenti, e la grotta delle meraviglie dove uomini e fate, folletti e gnomi, sono sempre invenzione e azione umana, come mostra l‘oprante che tiene le fila e poggia il suo enorme piede sulla roccia di sughero dove prima c‘era quel frammento statuario che alla fine ritorna fiorito al centro della scena e pronta ad aprirsi per un nuovo gioco. Insieme a Margot, Margherita Beato, Sara Mancuso e Paola Pilla sono le artefici di tanta magia che sarebbe certamente piaciuta ad Antonio Pasqualino per il suo Festival di Morgana. Questo Novecento fantastico, ricco di propositività e di sogno, fa da contrappunto alle tristezze disperanti del nostro secolo perché le marionette hanno forse più giudizio degli uomini. Nel nostro caso sono le quattro straordinarie donne a reggere i fili e ciò è apparso produttivo e seducente agli spettatori che hanno applaudito e ancora applaudono "dondolando tra lustri di arbusti, lanterne cieche, domani forse pile!"