Marionette di sogno

di Rolando Lucchi

TRENTO - Francesco Malipiero, tra il 1918 ed il 1919, scrive «Sette canzoni, sette espressioni drammatiche». «Le Sette canzoni sono sette episodi da me vissuti e che ho creduto di poter tradurre musicalmente senza contraddire me stesso». Così dice Malipiero del suo lavoro. Questi sette episodi danno forma ad altrettante scene liriche in bilico tra l'espressione verista e l'idioma espressionista. I vagabondi. A vespro. Il ritorno. L'ubriaco. La serenata. Il campanaro. L'alba delle ceneri. Sono questi i titoli dei sette quadri che si consumano in una quarantina di minuti. Hanno la brevità dell'appunto, dello schizzo, dell'impressione fermata sulla carta per non trovarsi persa nella memoria. Dell'appunto hanno anche l'incompletazza ermetica, allusiva; sorta di iceberg sonoro, si afferrano solo le punte emergenti di una massa ben più consistente ma sommersa, vietata alle orecchie. Su quest'opera di Malipiero il Gran Teatrino di Marionette «La Fede delle Femmine» ho costruito la sua ultima realizzazione su commissione della Biennale Musica di Venezia (guigno 1993). La Fede delle Femmine è una compagnia fondata nel 1987, da allora si dedica alla indagine e alla realizzazione di opere di teatro di animazione; tra questo sceglie (e si limita) al teatro musicale. Ha già al suo attivo una decina di titoli e con questi ha girato l'Italia tra festival, centri di studi e università. Sulle Sette canzoni di Malipiero Margherita Beato, Margot Galante Garrone e Paola Pilla muovono sette osservazioni e sperimentano sette esercizi. Mentre le osservazioni leggono con attenzione critica il lavoro di Malipiero, gli esercizi si fanno tema delle loro azioni. Diventano ordini e coordinate espressive. Seguite con fedeltà e rigore, puntigliosa precisione, attenzione infinite, concedendo ben poco al piacere, molto invece al pensiero. Si è costretti a leggere attentamente ogni segno ed ogni gesto per liberare il senso, si è chiamnati a decifrare l'eloquenza scenografica (così attenta al dettato malipierano), un'eloquenza ermetica, si è affascinati dalla virtuale profondità prospettica della scenografia che si fa voce della profondità della ricerca drammatica. E l'occhio del perdersi trascina con sé la mente. È precisa volontà, la loro, di «rendere riconoscibile soltanto il cinquanta per cento delle cose e lasciare a metà tra sogno e realtà il venticinque per cento delle altre».
Una scelta riuscitissima, uno spettacolo molto bello proposto giovedì e venerdì sera nell'ambito di «Festival musica '900». Uno spettacolo per pochi. Non si può essere che in poche decine di persone davanti alla scena del Gran Teatrino e quaranta persone (circa) rappresentano (in questo caso) un significativo tutto esaurito.