«Quattro Santi»: un puzzle

di Giorgio Pestelli

TORINO. Nonostante il successo di scandalo che «Four Saints in Three Acts» di Virgil Thomson e Gertrude Stein ottenne nel triplice debutto a Hartford, a New York e Chicago nel 1934, il lavoro non è mai entrato in repertorio nemmeno negli Stati Uniti; meno che mai in ltalia, dove il teatro musicale leggero, o satirico e ironico, in genere non ha mai avuto molta fortuna: bisogna quindi essere molto grati al
Gran Teatrino di Marionette «La Fede delle Femmine» che ne ha allestito una spiritosissima versione e alla De Sono che ha invitato a Torino il gruppo veneziano alla Casa Aurora di Corso Emilia 4. I «Quattro Santi in tre Atti», ma quanti siano i santi e gli atti è poi materia di un irresistibile puzzle, è un prodotto tipico di quel filone americano che ha sentito in Parigi il cuore dell'Europa e della modernità; in un divertimento talmente scatenato da riscattare ogni irriverenza, la santimonia ispanica delle Terese d'Avila e degli lgnazi di Loyola diventa il centro di un turbine di trovate, gesti e giochi di parole.
Non esiste vicenda naturalmente, la Stein essendo tutta impegnata nel tuo strambo e geniale trasferimento sulla pagina scritta delle esperienze psicologiche e pittoriche dei grandi francesi (Bergson fra gli altri). Anche Thomson aveva il suo dio francese in Erik Satie, ma di suo aveva una natura musicale così ricca da aggiungere molta carne, e della più colorita, sullo scheletro di Satie e arrivare così a significati molto diversi dal modello.
Perché questo spettacolo di un’ora e qualche minuto si segue con letizia pur in assenza di una qualunque narrazione? perché il connubio fra il frizzare dei generi musicali e figure, gesti, costumi e colori delle marionette è d'una felicità immacolata, tale da ricaricarsi ad ogni occasione in un tutto coerente. Thomson scuote il suo caleidoscopio, e si passa dall'inno protestante ai valzer e ai tanghi, da Gilbert and Sullivan ai «Sei» di Parigi, dalle nenie del Far West al rivestimento di un Mendelssohn americanizzato, placcato d'argento per le canne d'un organo di cristallo. E sulla scena una grandine d'invenzioni: il duomo di Avila, tabernacoli e confessionali, la vetrata centrale palpitante di luce, Sant'Ignazio con la chitarra al collo, Santa Composizione che scatta fotografie, la Stein e Thomson che entrano ed escono dal proscenio, l’esìlarante coro dei fraticelli, l’alba sul mare, il «pezzo di bravura» della mongolfiera e tanti santi, tutti i santi (che nella loro allegria consentono un posticino anche al «Saint-Honoré); ma l‘elenco sarebbe molto più lungo, e tutto questo fuoco d'artificio è manovrato al millimetro dalle mani di tre sole persone, Leda Bognolo, Margot Galante Garrone e Paola Pilla, emerse alla fine dal boccascena a prendersi gli applausi. Si replica tutte le sere fino a venerdì; dato il numero delle prenotazioni (bisogna telefonare alla De Sono, 530.730) è stata aggiunta una recita sabato alle ore 18.