Memorie

di Mario Messinis

Il teatro di marionette è il filo rosso che attraversa la storia stessa del teatro musicale. Per riferirsi agli ambiti novecenteschi, basterà ricordare, negli anni Venti, la fortuna delle marionette di Podrecca, cui riservarono la loro attenzione vari compositori della generazione dell‘80 (da Casella a Respighi a Malipiero e altri). Sempre più vivace poi, l’interesse per gli spettacoli tradizionali: dall’espressionismo nipponico ai pupi siciliani, al Mozart domestico delle marionette di Salisburgo e in generale alla fertile moltiplicazione di un «revival» che riguarda prevalentemente il passato (ovvero un ulteriore ritorno tra i ritorni). Talvolta la prosa prende il posto della musica, i Colla potendo inscenare Eduardo, o Ceronetti (ad uso esclusivamente privato) i propri testi letterari.
Per quanto ne so, le produzioni più sorprendenti di libera invenzione (create «ex nihilo», fin al più minuto oggetto di palcoscenico) sono quelle del veneziano «Gran Teatrino la Fede delle Femmine». Nato come appropriazione del «teatro musicale» e del «ballo pantomimico», di progetto in progetto, questo gruppo tocca ora una drammaturgia scabra, notturna, di una ossessione carceraria.
Al foyer della Fenice si rappresenta «The Scarlet Letter» dal celebre romanzo di Hawthorne, con le musiche che Mauricio Kagel ricompose per il centenario beethoveniano («Ludwig Van», 1970). Alle selezioni per quadri sintetici ed allusivi —che deliberatamente cancellano ogni elemento narrativo— corrispondono le musiche registrate di Kagel.
Qui il compositore argentino ricerca «una immedesimazione estraniata»: i testi citati e rimontati, attraverso un sofisticato collage, sono un omaggio a Beethoven, ma anche un «amore a distanza». Kagel si identifica criticamente nel suo autore. Analogamente, lo spettacolo procede per illuminazioni, in una atmosfera cupa che rievoca la violenza puritana, con al centro la figura emblematica dell‘Adultera —Hester— condannata da una società repressiva. Il suo amante, un pastore, finisce per essere dominato da un senso di colpa che lo conduce alla morte durante una pubblica predica-confessione. A tale condizione era giunto per l‘aggressività persecutoria del marito di Hester.
Questo penetrante spettacolo di marionette crea una successione di quadri isolati, che determinano un legame strutturale con la musica. Se Kagel crea un romanzo psicologico espressionista, attraverso la musica da camera di Beethoven, il «Gran Teatrino» inventa simbologie psicologiche non storiche, mediante processi di sincronie analitiche con i suoni.
La vicenda, ridotta a brandelli ed emblemi —la tensione comunicativa è tale che va al di là dello stesso contenuto narrativo— punta tutto sulla metafora della memoria attraverso l‘interpretazione che di Hawthorne propone James (non a caso Sergio Perosa sostiene che i migliori interpreti dello scrittore americano sono i connazionali Melville, James ed Eliot). Di qui un’ottica che va oltre il transcendentalismo della morale, come modello da raggiungere e come viaggio verso l’innocenza e la redenzione, ma uno sprofondare in una psicologia tormentata, come esperienza essenziale della colpa, in una nevrosi sociale e familiare di allucinatoria ripetitività.
L‘azione cosi si riduce a una successione di quadri simbolici, dissociati, sostenuti dal filo della memoria. Questo Hawthorne/James così vive di figure che si ricordano nel ricordo di altri, in una serie di sdoppiamenti speculari: per esempio Hester che si specchia in se stessa bambina e nella figlia, nata dall’adulterio.
La lettura del romanzo di Hawthorne è integrata da riferimenti ad altri testi dell’autore, stabilendo ulteriori corrispondenze con Kagel, che attualizza un grande spaccato cameristico beethoveniano. Ne esce un clima angoscioso, esaltato dalla staticità dei passi e dell’azione. Non c’è più il prediletto «ballo pantomimico», ma una tendenza ad una spettrale immobilità appena ravvivata dalla fantasia luministica e dalla raffinatezza delle lineari strutture sceniche.
La singolarità di questo teatro consiste proprio nell’ingrandimento ossessivo dei particolari, in uno sprofondare nella memoria che è arresto del tempo, visione, sovrapposizione di pensieri e di azioni: il passato si confonde col presente, cosi come la realtà con il sogno.
Ci si rende conto di come mai i registi lirici di oggi siano tanti interessati non soltanto al cinema ma anche al teatro di marionette. Dall‘attore-marionetta di Craig a queste ultime esperienze, sono molti gli stimoli che possono sollecitare il mondo dello spettacolo.